30 settembre 2010

The bad guy

Un tuffo nella memoria...

Un tuffo nella mia memoria, che per tutto ciò che riguarda il periodo '78-'85 è sicuramente molto meglio della vostra. Tornato a casa mi sono messo a giocare con Youtube, e guarda cosa ti pesco: buona parte dei vecchi video di Kate Bush, alcuni in ottima definizione.
Ovviamente non ricordate chi è Kate Bush, e perciò scaricatevi da qualche parte "Wuthering heights", "Army dreamers", "Hounds of love", "The man with the child in his eyes", "Wow", e non continuate a tritarmi le palle con la vostra ignoranza. Io ci ho i suoi primi album, e vi assicuro che quella ragazza, oltre che bravissima e bellissima, componeva arrangiava suonava e cantava pressochè da sola, ed era un genio dal punto di vista musicale (confrontate con Tori Amos, e poi mi dite quest'ultima a chi si è ispirata).

A pensarci bene, credo che non mi emozionerebbe così tanto, a vederla e a sentirla oggi, se non fosse legata a un ricordo di infanzia: uno di quei ricordi che formano il mio imprinting, le mie emozioni più primitive, e che hanno deciso per me che tipo di donna mi deve piacere, e come deve essere fatta, e cosa deve sapere fare (voglio dire, saper fare, a parte QUELLO che state pensando eh eh eh). Dunque ricordo, avevo 5 anni, di questo videoclip musicale, "Babooshka", che vedevo ogni mattina su chissà quale rete privata tra la giungla di quelle che nacquero in quel periodo, la televisione accesa da mia madre per essere aiutata nel baby-sitting. Il videoclip veniva ripetuto ogni mattina di quella estate, e quando lo passavno, io mi alzavo dalla mia sediolina, e cominciavo a ballare e a dimenarmi, sotto l'occhio divertito di mamma. E sognando ballavo, guardando quella elegante adorata ragazza vestita di nero, che faceva volteggiare un contrabbasso, cantando così...

28 settembre 2010

Eduardo ricorda Totò

Erano più colorate le strade di Napoli, più ricche di bancarelle improvvisate di chioschi di acquaioli, più affollate di gente aperta al sorriso allora, quando alle dieci di mattina le attraversavo a passo lesto - avevo quattordici anni - per trovarmi puntuale al teatro Orfeo, un piccolo, tetro, e lurido locale periferico, dove, in un bugigattolo di camerino dalle pareti gonfie di umidità, per fare quattro chiacchiere tra uno spettacolo e l'altro, mi aspettava un mio compagno sedicenne che lavorava là. Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia... Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l'uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del « guitto ». Do un'occhiata attorno; il fracchettino verde, striminzito, è lì appeso a un chiodo: accanto c'è quello nero. Quello rosso, glielo vedrò indosso tra poco, quando avrà terminato il suo numero. I ridicoli cappellini... A bacchetta, a tondino... e nero, marrone, e grigio... sono tutti allineati sulla parete di fronte... Manca il tubino: lo vedrò tra poco. Il bastoncino di bambù non c'è: lo avrà portato in scena. E lì, sulla tavoletta del trucco? Cosa c'è in quel pacchetto fatto con la carta di giornale? È la merenda, pane e frittata. 

E la miserabile musica continua, e la sua voce diventa via via ansiosa di trasportare altrove quella orchestrina di moltiplicarla. Dal bugigattolo dove mi trovo non mi è dato vederlo lavorare, ma di sentirlo e immaginarlo com'è, come io lo vedo come vorrei che lo vedessero gli altri. Non come una curiosità da teatro, ma come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è disceso. Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall'esterno.

Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: «Edua', stai cca'! » E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa.

Paese Sera, 1967.

22 settembre 2010

Carta igienica

Esami

L.: - Signorina, ha fatto questo grafico a mano, disegnandolo per punti. Ma Excel, niente?
Studentessa: - Non potevo stamparlo, avevo terminato la carta igieni... la carta per la stampante.
L.: mmm, certo :-)

20 settembre 2010

La sera che conobbi Saviano

Mi è spesso capitato di vedere Roberto Saviano in tv, parlare di criminalità organizzata o di poeti come Ken Saro Wivwa: durante una simile chiacchierata, mi è tornato in mente di quella sera che io lo conobbi, Saviano. Due settimane prima che entrasse nel programma di protezione.
Mi trovavo con amici, seduto a un pub, e mentre mi guardavo in giro vidi un ragazzo dalla faccia conosciuta, pelato e con la barba di tre giorni, che parlava con un amico biondino. Appunto, dato che la faccia mi aveva dato un'impressione di già visto, mi chiesi se potevamo conoscerci. Magari avevamo frequentato la stessa parrocchia, lo stesso partito, la stessa scuola. Boh? Il giovanotto aveva questa faccia qui.


Poi all'improvviso ebbi davanti agli occhi la quarta di copertina di un libro che avevo comprato da poco, e di cui avevo letto solo un paio di capitoli. Il libro era Gomorra, e parlava di crimine organizzato a Napoli: il 'Sistema'. E l'autore era proprio il ragazzo che stava seduto di fronte a me, un paio di tavoli più in là. Il libro era scritto benissimo, e il primo capitolo mi aveva preso in maniera particolare, per cui mi alzai dal mio posto e mi diressi verso il giovanotto, che seduto davanti a un panino e una birra, parlava l'amico.

L. (con il dito puntato): - Buonasera, lei è Roberto Saviano?
...
(lunga pausa di silenzio)
...
R.S. (sbiancato): - Sì... (balbettando) sono io...
L.: - FANTASTICO! :-) Sto leggendo il libro, è scritto benissimo... BLA BLA
R.S. (visibilmente sollevato): - Ah, bene! BLA BLA BLA
L.: - Tra l'altro, quando ebbi tra le mani la quarta di copertina avevo già l'impressione di conoscerti. Magari ci siamo già visti quando eravamo tutte e due dei ragazzi. Che sei stato iscritto ai DS o qualcosa del genere?
R.S.: - No, io ero iscritto a Rifondazione
L.: - Magari ci siamo visti a qualche manifestazione BLA BLA BLA
R.S.: - Boh? BLA BLA BLA
L.: - Vabbè, ciao, torno al tavolo dai miei amici. Ancora complimenti e buona serata ;-)
R.S.: - Buona serata :-)

Più avanti, durante la serata, mentre addentavo il mio panino imbrattato fino all'inverosimile di ketchup e maionese, sentii darmi una pacca sulla spalla e vidi cascarmi nel piatto pomodori e un pezzo di carne, ormai resa scivolosissima dalle salse. Macchicazz...
R.S.: - Allora ciao! ;-)
Era Saviano che stava uscendo dal locale, insieme all'amico.
L. (con la bocca piena): - MPFCIAO! :-D
Poi, due settimane dopo, seppi che era entrato in un programma di protezione del Ministero degli Interni, e che forse quella era stata una delle ultime volte in cui si era sentito libero di girare per strada con un amico. Ovviamente, del suo libro è inutile che ne parli. E se ne parlassi, ne parlerei bene.


R. Saviano, "Gomorra", Mondadori 2006.

(we, ci stavi pure tu, To')

Giornale del Regno delle Due Sicilie


"Napoli, 7 marzo 1822
S.M. questa mattina ha presieduto al consiglio di guerra: questa sera la M.S. onorerà di sua presenza l'anfiteatro del circo d'equitazione eretto nel largo del Castello.
- Jeri sera S.M. onorò di sua presenza il real teatro di S. Carlo. Era l'ultima rappresentazione del bel dramma del maestro Rossini, Zelmira; ed insiememente l'ultima comparsa che facevano per quest'anno su le nostre scene i celebri cantanti Signora Colbrand, e Signori Nozzari, David ed Ambrogi, i quali tutti si recano in Vienna ove lo stesso dramma sarà esposto in quell'I.R.teatro. S.M. in fine della rappresentazione si benignò dare al maestro ed ai cantanti che partivano lusinghieri segni di gradimento; e tutto quel recinto echeggiò allora di vivi e continuati plausi..."


19 settembre 2010

Per un appello alla ricerca

(L'Osservatorio Astronomico di Capodimonte)
Affinché l'Italia non faccia la fine del Regno delle Due Sicilie, rileggiamo un passo del giacobino Matteo Galdi, che nel 1811 descrive la situazione delle scienze a Napoli, all'arrivo di Gioacchino Murat:

"avranno un bel da fare progetti i Governi e gli Economisti sulla protezione che accordarsi debba alle arti, alle manifatture, all'agricoltura, al commercio; non si giungerà mai ad eguagliare la Francia e l'Inghilterra in questi diversi rami d'industria, non si otterrà mai la stessa perfezione, mai la preferenza nei mercati d'Europa, se le Fisico-matematiche, e le Fisico-chimiche non vengono in soccorso di tutti i processi meccanici adatti alla confeziobne ed apparecchio delle manifatture, al miglioramento dell'agricoltura..., se il concorso di tutte le scienze e degli scienziati non le faccia percorrere rapidamente l'orbita che altre nazioni han già percorsa per giungere all'attuale grado di forza, di grandezza, di general coltura, e di prosperità".

La voyage de Penelope

18 settembre 2010

Visita alla cappella

Convegno a Palermo. Alla fine dell'ultima giornata di lavori, sono ormai le 18, siamo stremati, ma un collega propone di provare a vedere se qualche monumento è ancora aperto, per dare un'occhiata.
C.: - Che ne diresti se andassimo a vedere la Cappella Palatina a Palazzo dei Normanni?
L.: - Ma qual' Cappella Palatina, che a chest'ora forse è aperta solo 'a cappello 'do cazzo!

13 settembre 2010

Un posto al sole

Quando la sera torno a casa, e mi siedo per cenare, inizia la puntata di "Un posto al sole", serie della quale mia madre è una fedele spettatrice. Ovviamente, dato che c'è un solo televisore in cucina, io la guardo distrattamente mentre rifletto sull'effetto almeno teorico che i miei succhi gastrici dovrebbero avere sul cibo, prima che cominci a farmi male lo stomaco, come sempre più spesso di recente mi succede.

Nella puntata di stasera, che per altro è una replica, Niko, il figlio del ragioniere Renato Poggi, si dichiara scontento di essersi diplomato con solo 60. Che sarebbe 60/100, cioè la schifezza della schifezza della schifezza della schifezza dei voti. E se ne lamenta ad alta voce con il padre, e la compagna del padre. Beato lui, io l'ho indicato a mia madre, dicendo:
- Mammà, oilloco n'ato che si scrive alla Parthenope, a Ingegneria.

10 settembre 2010

Poesie zen

Gli haiku sono composizioni poetiche giapponesi, composte di pochi versi, e caratterizzate da un numero caconico di sillabe, a seconda del genere, nelle quali si esprime l'eleganza dello spirito Zen. Negli haiku si alternano osservazioni sulla natura, sul divagare dei pensieri del poeta, sulla vita di relazione o su quella dello spirito, ma sempre espresse in forma suggestivamente breve: lungi dall'essere compatti, gli haiku sono delicatamente rarefatti, e il lettore riempie in uno squarcio di luce del proprio occhio interiore il nitore di una pagina lasciata asciutta dal poeta. Volevo che voi condivideste con me il piacere di lasciarvi invadere da queste intuizioni in tre versi, che sono gli haiku, leggendone qualcuno di quelli che ho amato di più. Buona lettura.


DOGEN (1200-1253)

Venendo, andando, l'uccello acquatico
Non lascia traccia,
Né ha bisogno di una guida.

***

BASHO (1644-1694)

La pesca del cormorano:
quanto è eccitante,
quanto è triste.

Fine d'anno:
ancora col cappello di paglia
e con i sandali.

Vecchio stagno,
salto e tonfo -
una rana.

Una gatta
così magra
nutrita d'orzo e d'amore.

Malato durante un viaggio -
sui campi riarsi
i sogni vanno errando.

Tomba, piegata
al vento d'autunno -
i miei singhiozzi.

***

KIKAKU (1661-1707)

Possa chi porta
fiori questa notte,
avere la luce della luna.

Foglia
dell'igname:
il mondo d'una goccia di pioggia.

Cancello di santuario
attraverso la nebbia mattutina -
un rumore di onde.

***

BUSON (1715-1783)

Un brivido improvviso -
nella nostra camera il pettine
della moglie morta, sotto i piedi.

Sugli iris,
lento planare
d'un nibbio.

***

ISSA (1763-1827)

Lucciole
entrano nella mia casa,
non le sdegnare.

Io parto -
ora potete fare all'amore
mosche mie.

***

JOSO (1662-1704)

Non bisogna
attaccarsi alle cose -
rana che galleggia.

***

SHUSHIKI (1669-1725)

Dopo il sogno,
com'è reale
l'iris.

***

MASAHIDE (1657-1723)

Il tetto s'è bruciato -
ora
posso vedere la luna.

Sto rapidamente invecchiando

Due antinfiammatori la sera. Un lenitivo la mattina. L'antibiotico a pranzo.
Sto rapidamente invecchiando.

09 settembre 2010

Ma credo, lavorare non basterà

Giacomo Ulivi, 19 anni, partigiano, fucilato il 10 novembre 1944. Da una lettera agli amici.

[...] Mi chiederete, perchè rifare noi stessi, in che senso? Ecco, per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia ed al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà: nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa, è il segno dell'errore. Perchè in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. E' il tremendo, il più terribile credetemi risultato di un'operazione di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent'anni da ogni lato, è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica che mi sembra sia stato inspirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di "specialisti".
Duro lavoro che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell'opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora che nella vita politica - se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri - ci siamo scaraventati dagli eventi. [...] che cosa abbiamo creduto? grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.

A cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi.

08 settembre 2010

Animam meam dilectam

Anno sabaudo

Collega: - E allora, studente, quanto vale "e" al quadrato?
Studente: - Ennò, prufessò, e per rispondere a questa domanda io mo' mi devo pigliare un anno sabaudo...

06 settembre 2010

Per chi suona la campana

Nessun uomo è un'isola,
completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla
venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita,
come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare
una dimora di amici tuoi,
o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,
perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
suona per te.

Estratto dalla Meditazione XVII, John Donne

Nudisti

Luca: - Allora, com'è andato il weekend in Croazia?
Anna: - Stavamo su una spiaggia, e accanto a noi c'erano i nudisti.
L.: - Embè, ti sei messa nuda pure tu?
A.: - Mannò, stavano nella spiaggia accanto. All'inizio faceva un pò senso, con tutti quei vecchi col coso da fuori, poi dopo 5 minuti ti abitui.
L.: - E com'è che io alle donne vestite non riesco ancora ad abituarmi? :-)

05 settembre 2010

Il coccige

Luca: - Mamma, come va?
Mamma: - Non vedi? Sono andata al cimitero e sono caduta...
L.: - Ti sei fatta male? Come è successo?
M: - Mi sono lavata le mani a una fontanella, ma era bagnato a terra e sono scivolata. Ho sbattuto l'occipite..
L.: - Sei andata con la testa a terra???
M.: - No, con questo... (indica il sedere)
L.: - Aaaah! Il COCCIGE!
M.: - Non si dice occipite?
L.: - No, il culo è il coccige...
M.: - Marò, che bruttu nomme... e chi s'o ricord'...