30 giugno 2011

Per una volta la Lega ha ragione

Per una volta la Lega ha ragione: non c'è alcuna possibilità che i rifiuti di Napoli possano uscire dalla Regione. Perché non c'è alcuna possibilità che i rifiuti di Napoli cambino codice CER. Altrimenti sarebbe un pòcome trasformare l'acqua in vino. Il che, a meno che non sia un miracolo, è un imbroglio.
Riguardo al divieto di fare uscire dalla Campania il rifiuto urbano qui prodotto, devo farvi osservare che l’art. 182 del D.Lgs. n. 152/2006, al comma 3, stabilisce che “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”, almeno nella forma recentemente modificata dal Decreto Legislativo 205/2010.
Cioè, la munnezza campana, compresa quella napletana, dalla Campania non può e non deve uscire. Ed oggi, per legge, non si potrebbe fare qualcosa come quello che l'Emilia Romagna fece nel 1995, e cioè accogliere diverse migliaia di tonnellate di rifiuti prodotti a Milano.
Data la limpidezza della cosa, perchè la Lega si sta assestando su una sorta di linea del Piave (al contrario)? Perchè sta tentando di difendere un principio di legalità, al quale da più parti si chiede di soprassedere, mediante la distorsione dell'uso dei codici CER. Il codice CER è un numero di identificazione, istituito con Decione Comunitaria dalla Commissione Europea, che serve a classificare il tipo di rifiuto: i rifiuti urbani sono classificati con codice CER 20. Come voi facilmente potete immaginare, se prendete la munnezza e la sminuzzate, quella sempre munnezza rimane. Beh, quello che si sta da più parti chiedendo al Governo, è di dare un indirizzo interpretativo secondo il quale se sminuzzate in un impianto di tritovagliatura la munnezza, da munnezza che è (CER 20) la fate diventare "rifiuto prodotto da impianti di trattamento dei rifiuti" (CER 19), il quale può invece essere prtato fuori regione per motivi che qui non vi sto a spiegare.
Ovviamente, la sminuzzatura non è un vero trattamento del rifiuto, perchè di fatto lo lascia tal quale (sentenza TAR Lazio Sez. I Ter, 31 maggio 2011 n°4195). E per farvi capire il CER 19 a che tipo di trattamenti fa riferimento, ricopio per voi:
- rifiuti da incenerimento o pirolisi dei rifiuti
- rifiuti prodotti da specifici trattamenti fisico-chimici di rifiuti industriali
- rifiuti stabilizzati/solidificati
- rifiuti vetrificati e rifiuti di vetrificazione
eccetera. Insomma, niente sminuzzamento.

Dunque, che fare? Nell'immediato, bisogna aprire o riaprire ai rifiuti napoletani le discariche campane che non li accolgono più, e predisporre il sistema di compensazioni ambientali relativo: questo per tamponare l'emergenza, nei prossimi mesi. Infine, accelerare la realizzazione dell'inceneritore di Napoli Est: su questo punto De Magistris dovrà cedere, con le cattive, se non con le buone. E finanziare la differenziata porta a porta anche nel centro storico e nelle periferie: perchè a Napoli, nei tre quartieri-pilota dove la differenziata è partita da tempo, essa ha avuto successo, e di fatto in questo momento la munnezza non c'è (cosa che ai telegiornali non dicono). Per esempio, ai Colli Aminei, dove abita mio zio (che mi ha testimoniato che l'immondizia non c'è), la differenziata è stata nel 2010 sull'allucinante media del 70%: come dire che se ai napoletani date i cassonetti, loro cominciano anche a volergli bene.
Chi finanzierà queste operazioni a costo non-zero? Col massimo della chiarezza, mi pare di poter dire che, con le buone o con le cattive, questa cosa la dovranno fare alcune Regioni del Nord, come parziale risarcimento dei problemi generati dallo smaltimento clandestino in Campania dei rifiuti tossici settentrionali: l'epidemia di alcuni tumori nelle province di Napoli e Caserta, ben oltre le medie nazionali (dati certificati OMS) ha origini che sono ora ben note. Del resto, con la pelosa strionzaggine che ha, Bossi saà certamente più disposto a sganciare quattrini che a fare salire sacchette.
Certo, direte voi, tutto facile. E perchè ciò non è stato fatto? Come vi è chiaro, differenziata o no, almeno una parte dell'immondizia non può che andare a discarica. Attualmente non sembra facile aprire discariche all'interno del Comune di Napoli. Per capire perchè vi do qualche dato. La Provincia di Napoli ha una superficie di 1171 kmq, pari a meno del 9% della superficie della Campania. Ma ha 3 dei 5 milioni di abitanti della regione, vale a dire il 60%. A sua volta, il Comune di Napoli ha una superficie di 117 kmq, con un milione di abitanti: cioè il 20% degli abitanti della Campania in meno dell'1% della superficie. E molte delle sue aree a verde già sono state ridotte a immondezzaio.A Napoli c'erano alcune discariche (esempio: Pianura) le quali sono state chiuse da tempo perchè sature. Delle sette attualmente aperte in Campania, due sono in provincia di Napoli: Chiaiano, quasi satura, e Terzigno, che però a seguito delle proteste degli abitanti non accoglie più i rifiuti di Napoli. E Chiaiano si trova praticamente in città, vicino all'area protetta degli Astroni, e a un paio di chilometri dalla Zona Ospedaliera (Cardarelli in testa).
Le cinque discariche rimanenti non accettano i rifiuti di Napoli. Perchè la Campania non vuole l'immondizia di Napoli. Anzi, non vuole neanche l'immondizia di Salerno (che la differenziata la fa da tempo, e con successo, ma che fra breve si troverà nei guai). I campani non vogliono che Napoli diventi un loro problema, sono stufi di essere confusi con i napoletani ("non sono napoletano, sono cilentano/irpino/sannita") con i quali non hanno in comune neanche il dialetto. Perchè la cosa che non passa sui telegiornali, e a me pare incredibile di quanto sia scarsa la perizia con la quale la realtà viene raccontata alla nazione, è che in Campania è in atto una guerra tra centro e periferia. In particolare, tra un centro povero, abitato densamente, severamente colpito dalla criminalità,e una periferia più ricca, scarsamente abitata, e che se potesse se ne andrebbe con qualcuna delle regioni confinanti (i cilentani vgliono andarsene con la Basilicata, i sanniti con la Puglia).
E io, che la mattina faccio lo slalom tra montagne di immondizia, in questa guerra anche culturale ci vado di mezzo.

26 giugno 2011

Il profumo delle vecchie zie

Stamattina, dato che era capitato lì, mi sono fatto la doccia con un pezzo di sapne di marsiglia. Infine ho usato il deodorante al talco. E adesso ho il profumo buono di bucato delle vecchie zie di una volta.

22 giugno 2011

Aprire la portiera a una signora

Aprire la portiera dell'auto a una signora. La virilità del gesto non sta nella galanteria di evitarle la fatica di aprire, quanto nella perentorietà con cui le si propone una strada che lei seguirà...

19 giugno 2011

Napoletanità/2

E così mi sono messo in testa di parlare di napoletanità, fin da questo post, un pò perchè in effetti l'idea di fissare certe mie considerazioni ce l'avevo da un pò di tempo, un pò perchè sono stato stimolato da qualche discussione avuta. E dato che l'argomento mi sembra piuttosto sfuggente, mi sono convinto che forse non dovrei procedere con un'argomentazione diretta, che parli di storia geografia clima alimentazione (mal)educazione cultura o arte, ma che dovrei piuttosto sommare indizi su indizi, affinchè nel lettore si formi la stessa idea (amorfa) che so essere da qualche parte nascosta nella mia testa. Idea che non conosco ancora, ovviamente ;-) Oggi dovrete subirvi la mia tirata sul Ricordo: la prossima volta potrebbe andarvi peggio. Col Ricordo si va dritti al cuore della napoletanità.

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Cos'è il Ricordo? Per capire cos'è, dovete prima capire che il napoletano non ricorda, ma Ricorda. Il Ricordo è la struttura stessa della napoletanità, ed è il Ricordo a rendere la napoletanità atemporale.
Così, tanto per fare un esempio, se il napoletano non colleziona guaches del Vesuvio fumante (partendo dunque dalla forma culturale semi-alta del Ricordo), vi parlerà però di quando da bambino vedeva il pennacchio sul Vesuvio (inserendo dunque il proprio ricordo in un comune patrimonio di Ricordi, strutturato in forma di napoletanità), oppure citerà un parente (deceduto, e ciò è necessario) che il pennacchio lo ha visto (Ricordo di seconda mano, ancora una volta strutturato culturalmente), oppure vi citerà un proverbio in cui il Vesuvio emette fumo (quindi un ricordo di decimillesima mano: e il proverbio sarà pure arguto, per cui il napoletano sfoggerà anche argutezza, come gli si conviene, ma di decimillesima mano). Perchè se ai napoletani qualcuno non avesse detto che dovrebbero Ricordare il Vesuvio col pennacchio, col cacchio che loro se lo ricorderebbero.
Nel Ricordo la napoletanità rimira se stessa, ma spostata indietro nel tempo, e si compiace di tale modello, cui tenta di somigliare, cercando in essa gli indizi di ciò che diventerà poi. Il Ricordo è l'essenza di ogni decadenza, per quanto dorata. Infatti, ogni società in ascesa è fondamentalmente smemorata: e la napoletanità voi di certo non ammettereste abbia vinto la battaglia della modernità. Per cui essa preferisce Ricordare (e non certo ricordare) il bel tempo che fu. Il Ricordo serve a rendere sopportabile il presente, reinventando il Passato. Cito a memoria, e forse sbaglio, ma mi pare di ricordare (o sto Ricordando?) che Giuseppe Patroni Griffi, come incipit del suo "La morte della bellezza", scrivesse: "Quant'era bella Napoli quarant'anni fa". Senza le luci, per via dell'oscuramento, nel blu dell'alba, sotto i bombardamenti! E forse Patroni Griffi confrontava con la mente la città amorfa e priva di contenitore che Napoli era ormai diventata negli anni 70 con la città, concentrata, conclusa in sè, che ancora durante la seconda guerra mondiale era assediata da colline verdi che insinuavano dita di lotti terrazzati e coltivati a vigna tra un rione periferico e l'altro. Nella memoria di Patroni Griffi la Napoli sotto i bombardamenti era meglio della Napoli che si sarebbe vista dopo. Perchè il prima è sempre meglio del poi, nell'ottica del Ricordo.
Per altro, il Ricordo non ha bisogno di dati precisi, e ha la licenza di modificare quasi a suo piacimento i documenti e i fatti storici. Così, il napoletano probabilmente Ricorda di avere letto da qualche parte che la prima ferrovia italiana è stata la Napoli-Portici. Ma non ricorda che al momento dell'Unità d'Italia la rete ferroviaria al Nord era molto più estesa di quella meridionale.
Il Ricordo genera la Tradizione. La quale a sua volta dà luogo a uno sforzo talmente ossessivo e concentrico circa le proprie origini, che potrebbe venirvi il dubbio che la figlia stia tentando di partorire la madre. Da qui discendono, come immediata conseguenza, una serie di (a volte gustosi) dettagli. In ogni famiglia, si fa a gara per preparare la pastiera più tradizionale. E chi la fa come la faceva la trisavola vince su chi la fa seguendo la ricetta della nonna. Si cerca di recuperare il dialetto. E ci si lancia in diatribe circa il fatto che il napoletano di Giovanbattista Basile si legga o meno come si scrive (sottolineando che il napoletano vero non è certo quello di oggi, ma deve essere quello del seicento, o quanto meno quello precedente il periodo murattiano). Si butta nel cesso il presepe con i pastori di plastica (che fino alla fine degli anni 80 sembrava avere prevalso) per recuperare quelle assurde fragili bruttine fintartigianali statuine di creta, perchè fanno tanto tradizione. E poi le assurde etimologie di Renato De Falco. Le raccolte di proverbi. Le raccolte di antiche mappe topografiche ("il mare arrivava fin qui, e la Caracciolo non esisteva"), e i più seri (ma autoreferenziali) studi toponomastici che ci siano al mondo (e che all'epoca irretirono anche menti sublimi quali quella di Croce). Gli studi musicologici della Pietà dei Turchini. L'amorosa pietà con cui Muti ha dedicato il recente festival di Salisburgo alla Scuola Napoletana. Le raccolte di ricette. E i mestieri di una volta, e che ora non ci sono più.
Anzi, è proprio questa storia degli antichi mestieri ad essere tra tutte la più sintomatica. Già nel 1859 (nel MilleOttocentoCinquantaNove!), De Bourcard descrive, nel suo "Usi e Costumi di Napoli e Contorni" (tu lo puoi comprare su tutte le bancarelle napoletane, o leggerlo qui), i mestieri ancora in voga a Napoli negli anni a cavallo dell'Unità d'Italia, tuttavia dedicando lunghe e tragicamente appassionate pagine a quei lavori che al tempo cominciavano a scomparire o purtroppo erano già belli e defunti. Insomma, chiarendoci che nel 1859 la napoletanità, così come la intendiamo oggi, era già nata: perchè già c'era chi non si limitava a produrre un documento etnografico su attività economiche sulla via dell'estinzione ma deplorava la Modernità, esaltava la Gentilezza, la Gaiezza, la Semplicità e la Sobrietà dei Costumi di un tempo, e si compiaceva dell'archeologia e del restauro conservativo della Memoria.
***
Perchè se ci pensate, poi, vi accorgete che il Napoletano non esiste. Egli è il Ricordo, culturalmente strutturato, che voi avete di lui (l'idealtypus noto come Napoletano), e al quale nessun napoletano vivente assomiglia davvero: Ricordo che vi è stato installato da un pesante martellamento culturale (film di Totò, Troisi, commedie di Eduardo, racconti di papà che ha fatto il militare e in compagnia era pieno così di napoletani, incontri fugaci nel cesso di una discoteca a Riccione, gente rumorosa in treno), e che vi fa credere di sapere riconoscere un napoletano lontano un miglio. Beh, vi sbagliate sul fatto di saperlo riconoscere (avreste mai saputo dire che Borrelli, la Boccassini o il presidente Napolitano sono napoletani, prima che qualcuno ve lo dicesse?): il Napoletano stesso è la geniale invenzione del Ricordo, che in tal modo può continuare ad andarsene in giro per il mondo prendendosi un passaggio da questo fantasma, un pò come fanno i nostri geni con i nostri corpi.

18 giugno 2011

L'ombra della luce

Il gene egoista

"Invece di chiedersi chi fosse venuto prima, l'uovo o la gallina, d'un tratto sembrò che una gallina fosse un'idea dell'uovo per avere più uova."

Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare.

La macchina finale

"Impossibile pensare a qualcosa di più semplice. Non è altro che un cofanetto di legno, di forma e dimensioni simili a una scatola di sigari, con un solo interruttore su uno dei lati. Azionando l'interruttore si sente un ronzio rabbioso, insistente. Il coperchio si solleva lentamente, e dall'interno emerge una mano, che si china a rimettere l'interruttore nella posizione iniziale per poi ritirarsi nella scatola. Definitivo come l'atto di sigillare una bara, il coperchio si chiude con uno scatto, il ronzio cessa e torna la quiete. L'effetto psicologico, se non sapete quello che sta per accadere, è devastante. C'è qualcosa di indicibilmente sinistro in una macchina che non fa nulla - assolutamente nulla - a parte spegnersi da sola."

Arthur Clarke, citato in Sloane, Wyner, Biography of Claude Elwod Shannon
(Seife, La scoperta dell'Universo)

12 giugno 2011

Mamma in ospedale e io al voto

Io: - Allora, mamma cosa vorrebbe che le portassi in ospedale, stasera?
Papà: - Non ti preoccupare, ci penso io. Ha chiesto la sua crema per il viso.

***

Mio fratello: - Non puoi fumare qui nel seggio.
Io: - Ma il sigaro è spento!
Mio fratello (alle scrutatrici, carine): - Arrestatelo lo stesso!

I reattori nucleari ambulanti

Giusto per, visto che raramente danno queste notizie in TV. Ma è bella grossa, la George H.W. Bush (sì, proprio il papà del coglione). Questo per informarvi che c'è una portaerei alla fonda nella rada di Napoli, più o meno di fronte al porto commerciale. Faceva un pò impressione, dalla Caracciolo, vedere quel bestione di 333 metri fare da sfondo alle barche a vela, gli yacht, una portacontainer e le navi da crociera.


Ed è stato divertente andare a votare per il referendum sul nucleare con due propulsori atomici praticamente nei pressi del nostro culo.
Dato che non credo sia qui per prendere il gelato al Borgo Marinari, sotto il Castel dell'Ovo, credo che nelle prossime ore farà perdere le sue tracce, e nel Mediterraneo qualcuno ballerà.