24 ottobre 2012

Circa la condanna degli esperti della Commissione Grandi Rischi

La frase della Commissione Grandi Rischi "è tutto normale", rende efficacemente conto del fatto che solo 5 sciami sismici su 100 danno luogo a un forte terremoto: guarda caso, il limite del 5% è proprio il limite usualmente usato nella letteratura scientifica in ogni possibile contesto per sceverare ciò che è normale da ciò che non lo è. Quindi la situazione si poteva definire, nei limiti delle conoscenze disponibili, normale, con riferimento alla posssibilità che potesse avvenire il BIG-ONE.

L'evacuazione di una città (anche piccola o media) comporta svuotare gli ospedali di malati gravi e gravissimi per spostarli altrove, e ricoverare in maniera arrangiata (Berlusconi lo chiamò campeggio) anziani e bambini: tutto ciò comporta sicurissimi danni alla salute di alcune fasce deboli a fronte di incerti vantaggi. Si moltiplichi questo danno alla salute per tutte le volte in cui il giochetto avviene inutilmente (e cioè 19 volte su 20), e si capirà quali siano i rischi di ingenerare falsi allarmi anche solo in maniera preventiva. E fosse solo questo.

Il punto è che la probabilità del 5% che a uno sciame sismico segua una scossa forte significa che esiste la probabilità del 60% che possano esserci 10 sciami sismici consecutivi senza che alcuno di essi sia seguito da una forte scossa. Ciò equivale a dire che, se si evacuassero 100000 persone ogni volta che avviene uno
sciame sismico, la probabilità di evacuare 10 volte CONSECUTIVE queste 100000 persone in maniera del tutto inutile è del 60%.
E' molto probabile che davanti a falsi allarmi ripetuti in Italia (svuotare una città ogni volta che avviene uno sciame sismico, con tutti i disagi relativi), le popolazioni comincerebbero ad abituarsi a questo "al lupo al lupo", pensando (a ragione) che tali grandi manovre siano inutili. Ottenendo il bellissimo risultato di rendere le popolazioni inerti e meno collaborative, magari in presenza di pericoli più certi (penso ad esempio al rischio vulcanico nell'area napoletana). Così magari si evitano 300 morti in una località, una volta, per poi farne un cinquecentomila in un'altra solo per il continuo succedersi dei falsi allarmi. L'ho scritto per quei fessi che pretendono che la Commissione Grandi Rischi desse il consiglio di evacuare (decisione che comunque avrebbe dovuto prendere la Protezione Civile, cioè l'organo politico).

A L'Aquila le morti sono state senza eccezione alcuna provocate da una edilizia che non sarebbe difficile definire scadente e di scarsa qualità, anche in assenza di terremoti (si veda il caso della Casa dello Studente, o le numerose palazzine moderne su pilotis, senza elementi di tamponatura che assorbono energia durante il sisma). Dato che il parere scientifico della Commissione Grandi Rischi (la situazione è nell'ambito delle conoscenze attuali "normale", con riferimento alla possibilità che avvenga un forte terremoto)  mi pare comunicato in maniera ineccepibile, il problema si sposta sulla Protezione Civile: durante uno sciame sismico, non è bene come misura di routine che gli ingegneri civili facciano uno screening di alcuni edifici critici? Una semplice azione preventiva come questa, che non ha niente a che fare con l'evacuazione di intere città, avrebbe individuato le criticità (appunto, la Casa dello Studente) e avrebbe evitato numerosissime morti.  Ma è quanto evidentemente la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco, il Genio Civile eccetera pare non fecero.

Per altro, questi controlli di routine (un atto dovuto in presenza di uno sciame sismico, che per definizione sta danneggiando un pò alla volta e progressivamente gli edifici), non avrebbero avuto bisogno di alcun avallo da parte dei sismologi, ricadendo nelle normali e dovute competenze della Protezione Civile. Controlli che ci sarebbero dovuti essere anche se i sismologi avessero dichiarato "è sceso l'angioletto dal cielo e mi ha detto che lo sciame cessa oggi alle 18:35").

A mio parere la condanna è stata ingiusta, e i condannati sono chiaramente martiri dell'oscurantismo nel paese che già si distinse per la condanna a Galileo. Riconosco che il giudizio non è, almeno a chiacchiere, contro la scienza. Ma senz'altro è contro il metodo scientifico, e l'uso, nella scienza e nell'analisi del rischio, di probabilità e ragionamenti articolati, che mal si adattano alla richiesta da parte della società (giudici compresi) di concetti che possano essere comunicati in ascensore nel viaggio tra un piano e l'altro.

17 ottobre 2012

Diario di bordo universitario

 
Diario di bordo del 17 ottobre 2012.
Le perturbazioni atmosferiche hanno reso nei giorni scorsi difficoltosa la nostra navigazione a vista, tra ondate di circolari ministeriali e banchi di studenti che cercano dove spiaggarsi: ogni tanto ne peschiamo uno e lo mangiamo per la fame. E' il tredicesimo giorno senza carta igienica all'università, e alcuni ammutinati hanno paventato la possibilità di utilizzare alla bisogna gli inutili comunicati di ANVUR (agenzia nazionale di valutazione di università e ricerca). Le preoccupazioni del medico di bordo per i primi sintomi di scorbuto dovuti alla scarsa alimentazione, dopo l'annullamento dei già esigui buoni pasto, sono state spazzate via dalle più fosche previsioni relative al forzato inutilizzo delle latrine. Non vediamo ancora terra, ancorchè promessa o anche solo velatamente vagheggiata come cauta possibilità. Che Dio ci protegga.

13 ottobre 2012

Il libro che ho appena letto


"Forse noi, dico la Terra, Cassiopea, Alpha Tauri, quella stella cadente, tutti gli altri corpi e astri che vedi e non vedi, tutti noi, zodiaci e nature, siamo solo miliardi di calcoli nel rene di un corpacciuto animale, la sua colica senza fine, i quagli petrosi del suo difficoltoso smisurato emuntorio; e galleggiamo così, nell'etere e piscio che gli s'impantana per tutti i meati e lo fa gloriosamente ululare di dolore nel silenzio degli spazi eterni. E' quella che chiamano l'armonia delle sfere. ma in quanto a spostare un pezzo, lui, Dio Mannaro, non saprebbe che pesci pigliare. E' solo una bestia che vuole sgravarsi di noi, e scalcia e si scogliona senza criterio. Un rimedio gli bisoga, uno squasso o un rutto, per mano di un altro, un Ur-Gott, un archiatra più antico e vasto di lui, che ci riduca in tritume di polvere, e lo liberi, finalmente. Ma la tua morte avviene al di fuori di un tale disegno, seppure un disegno esiste che lo concerne..."

Un libro vero, che parla di una generazione perduta, sfrido umano, specchio della nostra. Un incessante dialogo con la Morte, con il convitato di pietra sempre rimosso e dimenticato, e che sempre si presenta all'ora convenuta. Di Gesualdo Bufalino, Diceria dell'untore, Sellerio.

(nell'immagine, il manifesto del film Pietà, di Kim Ki-duk)

12 ottobre 2012

"Ci vorrebbe una guerra"

"Ci vorrebbe una guerra, perchè così capireste cosa significa..."

Seguiva poi, come in quelle poesie combinatorie di Quineau (Cent mille milliards de poèmes), una a scelta tra più possibilità di asserito contenuto etico-educativo. Le occorrenze, tra le quali potere estrarre come un coniglio dal cilindro il preteso insegnamento, apparivano in ordine di preferenza come: la fame, il rispetto per i genitori, risparmiare, l'educazione, il lavoro, ma anche la stessa guerra (in modo da chiudere una elegante tautologia). Ad esempio: "Ci vorrebbe una guerra, perchè così capireste cosa significa la fame". Magari detta con scopo didascalico a un bambino che non voleva mangiare, e usata come arma finale se il pietoso "pensa ai bambini che vorrebbero, ma non hanno da mangiare" non aveva funzionato: insomma, l'augurio dello sterminio dell'umanità come conseguenza per non avere voluto finire un piatto di pasta.
Questa frase, ci vorrebbe una guerra perchè così capireste cosa significa questo o quello, l'avrò sentita miliardi di volte, quando ero ragazzino, ripetuta da anziani parenti, vecchi rincitrulliti alla fermata dell'autobus, fascisti in ciabatte di pelo e con la papalina in testa, o biliosi e cadenti pazienti in prostranti sale d'attesa. Detta e ridetta da una generazione che, nel momento di tirare le cuoia, augurava ai nipoti (di certo non ai figli, ché quelli non si toccano!) di soffrire a scopo educativo.

Poi, crescendo, a un certo punto avevo smesso di sentirla: credevo di essermela cavata. Dietro la pretesa tirata moralista in forma di invettiva jettatoria ho sempre pensato covasse una non nascondibile, perchè cospicua, quantità di invidia di certe nostre libertà. Ma delle segrete motivazioni profonde di questi menagrami in pre-decomposizione non mi è mai interessato, né può interessarmi ora. Mi preme, piuttosto, osservare che infine la "jastemma ci ha cojuto", come diremmo dalle nostre parti, ossia che l'occhio secco lanciato dai nostri antenati è dopo lunghi giri andato a segno. Ed ora questa generazione, la mia, così verbalmente tartassata, viene finalmente spazzata via da una specie di tsunami lungamente invocato dai nonni.

Ci pensavo giusto l'altro giorno, mentre facevo un pò l'appello mentale dei miei amici, delle mie amiche, e di qualche giovane familiare. Ne è venuto fuori, insieme a tanta infelicità e insicurezza, un quadro fatto di contratti atipici, di stipendi in picchiata, di partite IVA con un unico cliente (in realtà il datore di lavoro), di pure e semplici disoccupazioni, di separazioni, di figli non fatti perchè troppo onerosi da mantenere, di stanze in affitto in case condivise con studenti ben più giovani, di ritorni a casa dei genitori perchè non si riesce più a pagare l'affitto nella casa condivisa con gli studenti, in risparmi sulla salute, e poi brevi puntate al nord o all'estero per lavori stagionali, lauree sottoutilizzate, e paghette ricevute ancora a trentacinque anni per arrotondare. Insomma, la guerra che tanto caldamente ci era stata augurata si è materializzata, infine. Ma sotto forma di un lento strangolamento che si è mangiato, e si mangerà, un decennio della vita delle persone che oggi hanno tra i trenta e i quarant'anni


A questo pensavo, l'altro giorno, e mi chiedevo come mai nessuno, nei media, avesse il coraggio di dire le cose come stanno, e cioè che c'è una generazione che sta pagando per tutti, per quelli che verranno e per quelli che sono già venuti. Una generazione che deve ogni giorno guadagnarsi il diritto di rimanere in vita acquistando anche l'aria che respira. Una generazione di guerra, che cederà il posto alla prossima senza avere mai visto da vicino le stanze dei bottoni, le leve del comando, le case di proprietà o le barche a mare, o più banalmente senza avere avuto la possibilità di vivere senza per forza dovere dimostrare di meritarsela, l'esistenza in vita.

La guerra che ci era stata augurata alla fine è scoppiata, e ha anche ottenuto il richiesto tributo di vittime, e di mutilati. A questo pensavo, e mi chiedevo a che punto fosse la notte, se fossimo lontani da un'alba, e se questo processo possa essere almeno rallentano, se non è possibile fermarlo.

10 ottobre 2012

Perle di filosofia

Oggi, come faccio spesso, scartabellavo tra i libri che don Ciro, il mio spacciatore di fiducia (ne ho già parlato qui, ma anche qui), dispone sugli scaffali arrangiati del suo negozio improvvisato (in un luogo della città che ha chiesto di non rendere riconoscibile perchè altrimenti la Finanza si potrebbe interessare a lui). Chissà come, il discorso è caduto sulle elezioni, manco ricordo se si parlasse di primarie del PD o quant'altro.
"Io nun vaco a votà" ha detto. "E poi uno non sa che votare, potrebbe sbagliare." Era filosofico e, a quel che ne so, è uno che non beve, per cui mi sono interessato e l'ho guardato interrogativo. "Mo'vedete per esempio de Magistris, pareva tanto buono...", e invece?, "... e quello ha fatto togliere tutti gli ambulanti da Piazza Garibaldi..." Una pausa per creare in me la giusta suspense: "Se lo votavo potevo sbagliare!" Gli ho fatto capire che il suo ragionamento, in effetti, non faceva una piega.
Quindi, ha concluso, ribadendo la sua funzione storica, che lo ha quasi trasformato in un elemento del territorio o in un pezzo forte dell'arredo urbano: "Io nun vaco a votà. Tanto chi saglie saglie, io sto sempre cca' a vennere libri."

07 ottobre 2012

Il libro che ho appena letto.



"Su, vieni" disse la donna, e lo prese per un braccio. "Su che sei grande, vieni."
Mario avvertì, immensi, i battiti del proprio cuore. Senza volerlo cercò di puntare i piedi in terra.
"No" pensò anche, due e o tre volte, con un desiderio di piangere, e tuttavia non aveva forza per resistere.
S'alzò per uno scatto con se stesso... Gli erano infatti maturate collera e vergogna d'apparire sciocco...
Ma era sempre gelato quando prese posto accanto alla donna. Costei gli si fece vicinissima, il ragazzo ne sentì l'odore.
Un odore strano, di panni vecchi, naftalina sudore rappreso: dava un po' di nausea, eppure s'insinuava con sottile violenza.
"Anche tu: ce n'hai?" mormorò Titina, sfregando indice e pollice tra loro. "Una lira. Come quell'altro."
Mario ansò ancora. Pensò in un lampo: "Non ce n'ho, lo dico. E così potrò andarmene. Vado..."
Ma non riuscì ad aprire la bocca.

Enzo Striano, Giornale di adolescenza, Mondadori