15 agosto 2013

Il libro che ho appena terminato di leggere

Questi uomini in camicia nera, d'altronde noi li conoscevamo. Per farsi coraggio essi avevano bisogno di venire di notte. La maggior parte puzzava di vino, eppure a guardarli da vicino, negli occhi, non osavano sostenere lo sguardo. Anche loro erano povera gente. Ma una categoria speciale di povera gente, senza terra, senza mestieri, o con molti mestieri, che è lo stesso, ribelli al lavoro pesante; troppo deboli e vili per ribellarsi ai ricchi e alle autorità, essi preferivano di servirli per ottenere il permesso di rubare e opprimere gli altri poveri, i cafoni, i fittavoli, i piccoli proprietari. Incontrandoli per strada e di giorno, essi erano umili e ossequiosi, di notte e in gruppo cattivi, malvagi, traditori. Sempre essi erano stati al servizio di chi comanda e sempre lo saranno. Ma il loro raggruppamento in un esercito speciale, con una divisa speciale, e un armamento speciale, era una novità di pochi anni. Sono essi i cosiddetti fascisti.

Ignazio Silone, Fontamara.

12 agosto 2013

Sant'Antonio Abate



Dunque oggi, preso da un pò di magone, sono uscito da casa di mia madre e sono disceso lungo l'Arenaccia, per poi piegare verso Corso Garibaldi. Lì ho vagato per un pò, per poi infilarmi in un budello dietro la vecchia Pretura, e mi sono ritrovato nella piazzetta dalla quale inizia via Sant'Antonio Abate, la strada fuori mura che un tempo conduceva da Porta Capuana alla chiesa angioina di Sant'Antonio Abate. Il "buvero", ossia il borgo di Sant'Antonio, ha mantenuto nel corso del tempo una sua immagine affollata, densa, eppure povera, e forse solo chi sa cosa è il mercato di Ballarò può farsene un'idea senza averlo visto. Un tempo era un triangolo di orti e taverne che esibevano la frasca, ma già nel seicento, data la presenza delle osterie, e degli altri due o tre mestieri che a queste immancabilmente si accompagnavano, era una zona con una brutta fama. Che ha saputo conservare nel tempo, impermeabile a cose come l'unità d'Italia, il positivismo, lo sbarco dell'uomo sulla luna, internet, e il fine scarto semantico tra zoccola e escort.
A me piace tanto percorrere via S. Antonio Abate, farmi colpire dal nauseabondo odore di carne avicola che marcisce nel caldo estivo all'esterno di una polleria, leggere stupefatto marche di tonno mai sentite prima ("Mare Aperto"), guardare le ciabatte a tre euro, essere spinto da ogni lato dalla folla, dare un'occhiata ai film e alla musica piratata, studiarmi le bancarelle con le sigarette di contrabbando (cinque in una manciata di metri). Al confronto, la centralissima Forcella sembra Via della Spiga. Di lato si innervano strade e microscopici vicoli dai nomi evocativi, spesso con un complicato andamento topografico a saliscendi. Vico Tutti Santi, vico Crispano (quello della famosa taverna), vico Pergole (appunto quelle della taverna del Crispano), via Santa Maria Avvocata. Sono una sequenza non interrotta di negozietti, officine meccaniche di pochi metri quadri, abitazioni a livello della strada (i bassi), parrucchiere africane, mercerie, fabbri, idraulici, prostitute, salumerie, aggiusti di sartoria, orologiai, mercerie, gli immancabili travestiti che un tempo arriffanavno, cioè campavano tenendo banchi della tombola durante tutto l'anno, e poi preziosissimi portalini che proteggono scalette di piperno, vezzose edicole sacre, sorprendenti cortili pieni di verde, palazzi nobiliari, insalubri portoni nei quali non è mai entrata la luce, rumore dalle radio a tutto volume, motorini che vanno avanti e indietro, richiami tra la folla, bimbi che ti passano tra i piedi. Ma a parole non si può descrivere, non si può dire: bisogna andarci, sentire gli odori, essere ferito dai suoni, guardare i colori della pelle.
Il fatto è che, nel suo rifiuto di ogni norma, nella sua regolata anarchia, la zona di Sant'Antonio Abate rappresenta senza dubbio il simbolo della resistenza del popolo napoletano alla modernità, la trincea di un modo di vivere che fece dire a Curzio Malaparte che Napoli era l'unica città dell'antichità che non fosse perita come Ilio o Ninive. Per me, poi, è in primo luogo il ventre di pietra, il grembo di tufo e piperno, la matrice di basalto e di ombra dove ho scelto che andrò a invecchiare, e morire, un bel giorno.

28 febbraio 2013

Il libro che sto leggendo.

Tarrou, poi, sembrava essere stato favorevolmente colpito da una scena che si svolgeva sovente sul balcone dirimpetto alla sua finestra. La camera, infatti, dava suna viuzza trasversale, dove i gatti dormivano all'ombra dei muri. Ma tutti i giorni, dopopranzo, nelle ore in cui l'intera città sonnecchiava nel caldo, un vecchietto appariva a un balcone, dall'altra parte della strada. Coi capelli bianchi e ben ravviati, dritto e severo nei suoi abiti di taglio militare, egli chiamava i gatti con un "micio, micio" dolce e insieme distante. I gatti levavano dal sonno gli occhi pallidi, senza muoversi ancora. L'altro stracciava dei pezzetti di carta al disopra della via e le bestie, attirate da quella pioggia di farfalle bianche, venivano avanti in mezzo al selciato, tendendo una zampa esitante verso gli ultimi brandelli di carta. Il vecchietto sputava allora sui gatti con forza e precisione; se uno degli sputi raggiungeva il bersagio, rideva.

Albert Camus, La peste.

13 gennaio 2013

L'odore dei libri

In comune con mio fratello e con mio cugino più grande ho l'abitudine, se non proprio la mania, di annusare i libri. Se entro in una libreria, e una copertina mi attira, sollevo al naso il libro scelto, faccio scorrere le pagine e poi aspiro, perchè prima di acquistare un libro devo sentirlo anche con l'olfatto, dopo averne apprezzato l'aspetto ed il contenuto. Quando cammino per casa e trovo un libro fuori posto non mi lamento del disordine: lo sfoglio, e nel girare le pagine lo annuso, per poi posarlo di nuovo. E a letto, con il desiderio di leggere, allungo la mano sul comodino di fianco a me, afferro uno dei libri lasciati a metà che ci sono sopra, lo apro, ci ficco il viso in mezzo e inspiro profondamente prima di iniziare. E' una cosa, questa, che faccio in maniera del tutto automatica, senza starci a pensare, e dopo che l'ho fatta, non prima, perchè ancora non so che sto per annusare, mi accorgo che mi piace terribilmente. In maniera compulsiva posso tornare a farla più volte di seguito, nel tentativo di rinnovare il gusto che mi ha colpito e che, mi accorgo a volte, comincia a disperdersi evaporando con lo scorrere delle pagine, diventando via via più debole.

(ecco, l'ho appena rifatto: ho annusato, sovrappensiero, il manuale di visual basic che ho accanto, sulla scrivania).
 
Credo che io potrei riconoscere i libri a occhi chiusi, dal loro odore. Cioè, non proprio i libri, quanto piuttosto la collana, l'editore, l'epoca di stampa, questo sì. Bendatemi, magari. E poi, come Michele, quello del Glen Grant, mettetemi sotto il naso un Oscar Mondadori stampato a metà degli anni sessanta. Quelli la cui copertina è di cartone un pò rigido. E il cui odore ha una nota iniziale acuta, di polvere secca, che arriva per prima dritta tra gli occhi, e che poi si trasforma in qualcosa di cupo e profondo, che matura nel fondo del vostro naso, quasi all'altezza della gola. La copertina degli Oscar, a partire degli anni settanta, è diventata flessibile e cedevole, e il profumo è maturato, diventando meno acuto all'inizio, ma nel contempo perdendo di profondità e ricchezza di bouquet. I Tornesi di Avagliano hanno una nota basica, quasi un sentore di ammoniaca, che non sentite con la punta ma piuttosto con il fondo del naso. Nella BUR, almeno in quelli stampati prima del duemila, vi è una nota come legnosa, a volte sandalo o qualche altra preziosa essenza, e la porosità della carta usata, che ingiallisce facilmente, sembra fatta apposta per trattenere bene la polvere. Gli Struzzi Einaudi hanno un sentore debole ma persistente, non cupo, forte quando sono nuovi, e la carta si mantiene spesso bianca a lungo. I Tascabili Bompiani, con i loro inconfondibili font, sono sorprendentemente simili nel profumo alla Biblioteca Universale Feltrinelli, pur avendo una carta più spessa. I vecchi Urania Mondadori, invece, hanno una nota fresca, inalterata nel tempo, lievemente metallica ma deliziosa. Electa Napoli ha una nota alta, di testa, che sentite bene alla radice del naso, di carta lucida, lussuosa, poco acida e destinata a conservarsi a lungo.

(l'ho rifatto ancora: questo manuale McGraw-Hill ha sentori fruttati fantastici)

Sì, decisamente posso riconoscere i libri a occhi chiusi, dal loro odore. E sono come la mia madaleinette, a volte. Aspiro, e si presenta alla mente un ricordo, torna un'immagine. Me bambino, in spiaggia, salgo le scale che dallo stabilimento balneare portano sulla strada, e ho un Topolino sotto il braccio. O ragazzino, che compro Gli dei e gli eroi della Grecia di Kerényi, scegliendolo dalla vetrina di un giornalaio, in un altro posto di vacanza. Oppure apro la busta di plastica nella quale, per non farmi beccare dai miei, che dicono che butto via i soldi, ho nascosto un commento al De anima di Aristotele, stampato a Tolosa nel 1614, e vengo colpito dall'afrore di quasi quattrocento anni di mani che lo hanno manipolato, e della pelle malamente conciata della copertina. Me in biblioteca, all'università, che leggo Dov'eri Adamo di Boll, mentre aspetto un professore per fare l'esame. Bastogne di Brizzi, arrotolato e infilato nella tasca posteriore dei jeans mentre servo ai tavoli della pizzeria durante la Festa dell'Unità. Giornale di adolescenza, di Enzo Striano, sul comodino di mia madre, quando ancora stava bene. E Il Signore dell'Universo, di R.F. Jones, un brutto libro di fanstascienza letto da mio padre tutto in una notte, seduto al tavolo in cucina, tenendolo dritto con entrambe le mani davanti a sè. Riconoscere la mia madaleinette, ad occhi chiusi.