19 giugno 2011

Napoletanità/2

E così mi sono messo in testa di parlare di napoletanità, fin da questo post, un pò perchè in effetti l'idea di fissare certe mie considerazioni ce l'avevo da un pò di tempo, un pò perchè sono stato stimolato da qualche discussione avuta. E dato che l'argomento mi sembra piuttosto sfuggente, mi sono convinto che forse non dovrei procedere con un'argomentazione diretta, che parli di storia geografia clima alimentazione (mal)educazione cultura o arte, ma che dovrei piuttosto sommare indizi su indizi, affinchè nel lettore si formi la stessa idea (amorfa) che so essere da qualche parte nascosta nella mia testa. Idea che non conosco ancora, ovviamente ;-) Oggi dovrete subirvi la mia tirata sul Ricordo: la prossima volta potrebbe andarvi peggio. Col Ricordo si va dritti al cuore della napoletanità.

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Cos'è il Ricordo? Per capire cos'è, dovete prima capire che il napoletano non ricorda, ma Ricorda. Il Ricordo è la struttura stessa della napoletanità, ed è il Ricordo a rendere la napoletanità atemporale.
Così, tanto per fare un esempio, se il napoletano non colleziona guaches del Vesuvio fumante (partendo dunque dalla forma culturale semi-alta del Ricordo), vi parlerà però di quando da bambino vedeva il pennacchio sul Vesuvio (inserendo dunque il proprio ricordo in un comune patrimonio di Ricordi, strutturato in forma di napoletanità), oppure citerà un parente (deceduto, e ciò è necessario) che il pennacchio lo ha visto (Ricordo di seconda mano, ancora una volta strutturato culturalmente), oppure vi citerà un proverbio in cui il Vesuvio emette fumo (quindi un ricordo di decimillesima mano: e il proverbio sarà pure arguto, per cui il napoletano sfoggerà anche argutezza, come gli si conviene, ma di decimillesima mano). Perchè se ai napoletani qualcuno non avesse detto che dovrebbero Ricordare il Vesuvio col pennacchio, col cacchio che loro se lo ricorderebbero.
Nel Ricordo la napoletanità rimira se stessa, ma spostata indietro nel tempo, e si compiace di tale modello, cui tenta di somigliare, cercando in essa gli indizi di ciò che diventerà poi. Il Ricordo è l'essenza di ogni decadenza, per quanto dorata. Infatti, ogni società in ascesa è fondamentalmente smemorata: e la napoletanità voi di certo non ammettereste abbia vinto la battaglia della modernità. Per cui essa preferisce Ricordare (e non certo ricordare) il bel tempo che fu. Il Ricordo serve a rendere sopportabile il presente, reinventando il Passato. Cito a memoria, e forse sbaglio, ma mi pare di ricordare (o sto Ricordando?) che Giuseppe Patroni Griffi, come incipit del suo "La morte della bellezza", scrivesse: "Quant'era bella Napoli quarant'anni fa". Senza le luci, per via dell'oscuramento, nel blu dell'alba, sotto i bombardamenti! E forse Patroni Griffi confrontava con la mente la città amorfa e priva di contenitore che Napoli era ormai diventata negli anni 70 con la città, concentrata, conclusa in sè, che ancora durante la seconda guerra mondiale era assediata da colline verdi che insinuavano dita di lotti terrazzati e coltivati a vigna tra un rione periferico e l'altro. Nella memoria di Patroni Griffi la Napoli sotto i bombardamenti era meglio della Napoli che si sarebbe vista dopo. Perchè il prima è sempre meglio del poi, nell'ottica del Ricordo.
Per altro, il Ricordo non ha bisogno di dati precisi, e ha la licenza di modificare quasi a suo piacimento i documenti e i fatti storici. Così, il napoletano probabilmente Ricorda di avere letto da qualche parte che la prima ferrovia italiana è stata la Napoli-Portici. Ma non ricorda che al momento dell'Unità d'Italia la rete ferroviaria al Nord era molto più estesa di quella meridionale.
Il Ricordo genera la Tradizione. La quale a sua volta dà luogo a uno sforzo talmente ossessivo e concentrico circa le proprie origini, che potrebbe venirvi il dubbio che la figlia stia tentando di partorire la madre. Da qui discendono, come immediata conseguenza, una serie di (a volte gustosi) dettagli. In ogni famiglia, si fa a gara per preparare la pastiera più tradizionale. E chi la fa come la faceva la trisavola vince su chi la fa seguendo la ricetta della nonna. Si cerca di recuperare il dialetto. E ci si lancia in diatribe circa il fatto che il napoletano di Giovanbattista Basile si legga o meno come si scrive (sottolineando che il napoletano vero non è certo quello di oggi, ma deve essere quello del seicento, o quanto meno quello precedente il periodo murattiano). Si butta nel cesso il presepe con i pastori di plastica (che fino alla fine degli anni 80 sembrava avere prevalso) per recuperare quelle assurde fragili bruttine fintartigianali statuine di creta, perchè fanno tanto tradizione. E poi le assurde etimologie di Renato De Falco. Le raccolte di proverbi. Le raccolte di antiche mappe topografiche ("il mare arrivava fin qui, e la Caracciolo non esisteva"), e i più seri (ma autoreferenziali) studi toponomastici che ci siano al mondo (e che all'epoca irretirono anche menti sublimi quali quella di Croce). Gli studi musicologici della Pietà dei Turchini. L'amorosa pietà con cui Muti ha dedicato il recente festival di Salisburgo alla Scuola Napoletana. Le raccolte di ricette. E i mestieri di una volta, e che ora non ci sono più.
Anzi, è proprio questa storia degli antichi mestieri ad essere tra tutte la più sintomatica. Già nel 1859 (nel MilleOttocentoCinquantaNove!), De Bourcard descrive, nel suo "Usi e Costumi di Napoli e Contorni" (tu lo puoi comprare su tutte le bancarelle napoletane, o leggerlo qui), i mestieri ancora in voga a Napoli negli anni a cavallo dell'Unità d'Italia, tuttavia dedicando lunghe e tragicamente appassionate pagine a quei lavori che al tempo cominciavano a scomparire o purtroppo erano già belli e defunti. Insomma, chiarendoci che nel 1859 la napoletanità, così come la intendiamo oggi, era già nata: perchè già c'era chi non si limitava a produrre un documento etnografico su attività economiche sulla via dell'estinzione ma deplorava la Modernità, esaltava la Gentilezza, la Gaiezza, la Semplicità e la Sobrietà dei Costumi di un tempo, e si compiaceva dell'archeologia e del restauro conservativo della Memoria.
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Perchè se ci pensate, poi, vi accorgete che il Napoletano non esiste. Egli è il Ricordo, culturalmente strutturato, che voi avete di lui (l'idealtypus noto come Napoletano), e al quale nessun napoletano vivente assomiglia davvero: Ricordo che vi è stato installato da un pesante martellamento culturale (film di Totò, Troisi, commedie di Eduardo, racconti di papà che ha fatto il militare e in compagnia era pieno così di napoletani, incontri fugaci nel cesso di una discoteca a Riccione, gente rumorosa in treno), e che vi fa credere di sapere riconoscere un napoletano lontano un miglio. Beh, vi sbagliate sul fatto di saperlo riconoscere (avreste mai saputo dire che Borrelli, la Boccassini o il presidente Napolitano sono napoletani, prima che qualcuno ve lo dicesse?): il Napoletano stesso è la geniale invenzione del Ricordo, che in tal modo può continuare ad andarsene in giro per il mondo prendendosi un passaggio da questo fantasma, un pò come fanno i nostri geni con i nostri corpi.

2 commenti:

  1. ho trovato la tua analisi giusta e profonda, il ricordo come lo chiami tu è quello che ti distorce la realtà se si appropria di te ma se lo alsci nel cantuccio dove sono nascosti tutti i ricordi non fa molto male, ignorarlo ti fa vedere la vita com'è realmente e spesso non ci piace la realtà e allora con il ricordo si camuffa e va un po' meglio, infatti come dici tu i napoletani non esisstono e poi chissà se sono mai esistiti e allora una qualunque come noi che fa si ricorda dei napoletani ed è più felice io che non lo faccio mai sono solo cinica e allo stesso tempo serena

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  2. mi è piaciuta moltissimo la tua frase: "infatti come dici tu i napoletani non esistono e poi chissà se sono mai esistiti e allora una qualunque come noi che fa si ricorda dei napoletani ed è più felice". ora me la posto su facebook

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