10 marzo 2012

Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli

Dunque, il problema principale della rivoluzione napoletana del '99 fu l'astrattezza delle intenzioni e dell'esecuzione, l'assenza di un'autentica comunicazione con la popolazione, la mancanza di cooptazione di utili segmenti delle classi dirigenti che avevano servito sotto i borboni. Dopo sei mesi le armate della santa fede si ripresero tutto, e condussero alla forca una parte non trascurabile dell'illuminismo italiano, in poche intense settimane di terrore. E questo lo racconta molto bene Antonio Ghirelli (Storia di Napoli, Einaudi). La Capria fa risalire proprio a quell'epoca (L'armonia perduta, Mondadori) la frattura tra ceti popolari e borghesia produttiva, e che potè essere ricomposta solo cinquant'anni dopo, sotto forma di addormentamento della ragione, e nascita della napoletanità.
Vincenzo Cuoco fu testimone e protagonista di quegli eventi, che raccontò qualche anno dopo, durante l'esilio milanese. Se la storia deve essere maestra di vita, direi che gli scritti di Cuoco (e in particolare il Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli) sembrano fatti apposta per dare consigli alla sinistra di oggi.
 
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"Le idee della riovoluzione di Napoli avrebbero potuto esser popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da una costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopra massime troppo astratte, erano lontanissime da'sensi e, quel ch'è più, si aggiungevano ad esse, come leggi, tutti gli usi, tutti i capricci e talora tutti i difetti di un altro popolo lontanissimi dai nostri difetti, da' nostri capricci,dagli usi nostri, Le contrarietà e i dispareri si moltiplicavano in ragione del numero delle cose superflue, che non doveano entrar nel piano dell'operazione, e che intanto vi entrarono."
"La nazione napolitana si potea considerare come divisa in due popoli, diversi per due secoli di tempo e per due gradi di clima. Siccome la parte colta si era formata sopra modelli stranieri, così la sua cultura era diversa da quella di cui abbisogna la nazione intera, e che potea sperarsi solamente dallo svilupppo delle nostre facoltà. Alcuni erano diventati francesi, altri inglesi; e coloro che erano rimasti napolitani, che componevano il massimo numero, erano ancora incolti. Così la cultura di pochi non avea giovato alla nazione intera; e questa, a vicenda, quasi disprezzava una cultura che non l'era utile e non intendeva."
"[...] si volle guadagnar gli animi di molti, presentando loro quelle idee che erano idee di pochi. Che sperare da quel linguaggio che si teneva in tutt'i proclami diretti al nostro popolo? - Finalmente siete liberi- ... Il popolo non sapeva ancora cosa fosse la libertà: essa è un sentimento e non un'idea; si fa provare coi fatti, non si dimostra colle parole. - Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema - ... Era obbligato il popolo a sapere la storia romana per conoscere la sua felicità?"

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