09 settembre 2010

Ma credo, lavorare non basterà

Giacomo Ulivi, 19 anni, partigiano, fucilato il 10 novembre 1944. Da una lettera agli amici.

[...] Mi chiederete, perchè rifare noi stessi, in che senso? Ecco, per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita, dedicata alla famiglia ed al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà: nel desiderio invincibile di "quiete", anche se laboriosa, è il segno dell'errore. Perchè in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. E' il tremendo, il più terribile credetemi risultato di un'operazione di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent'anni da ogni lato, è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della "sporcizia" della politica che mi sembra sia stato inspirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di "specialisti".
Duro lavoro che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell'opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora che nella vita politica - se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri - ci siamo scaraventati dagli eventi. [...] che cosa abbiamo creduto? grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.

A cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli, Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi.

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