Passano i giorni, e ogni ora è al tempo stesso inconcepibile e naturalissima. Gli attacchi si alternano coi contrattacchi e sul terreno devastato, fra le trincee, si ammucchiano i morti. Dei feriti, per lo più siamo in grado di raccogliere quelli che non son caduti troppo lontano; ma gli altri giacciono a lungo abbandonati, e li sentiamo morire.
Ve n'è uno, che cerchiamo invano per due giorni. Probabilmente è caduto sul ventre e non si può voltare; non si spiega altrimenti come non sia possibile rintracciarlo: solo quando si grida così con la bocca rasente terra, riesce difficilissimo stabilire la direzione.
Avrà preso un brutto colpo, una di quelle ferite rognose, che non sono gravi abbastanza da consentire alla vita di spegnersi lentamente in uno stato di semicoscienza, né d'altra parte abbastanza leggere per fare sopportare il dolore con la speranza di guarigione. Kat pensa che deve trattarsi di una frattura del bacino o di una pallottola nella spina dorsale: il torace non deve essere colpito, altrimenti il ferito non avrebbe tanta forza per gridare: e se fosse colpita qulche altra parte, si dovrebbe vederlo muoversi.
A poco a poco la voce si fa più rauca. Essa ha un suono così infelice, che potrebbe venire da qualsiasi parte. Nella prima notte, tre volte i nostri sono usciti. Ma quando credono d'aver trovato la direzione, e si avanzano carponi verso quella volta, ecco che la voce sembra ad un tratto provenire da tutt'altro punto. Fino all'alba cerchiamo invano; durantela giornata si esplora sistematicamente il terreno coi cannocchiali, m senza risultato. Il secondo giorno la voce si fa più fievole: la gola e le labbra devono essersi inaridite.
Terribile e bello: le atrocità da macelleria della guerra di trincea durante il Grande Conflitto. Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale.
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