02 dicembre 2012

Un tuffatore

Fu ritrovata il 3 giugno del 1968, in una località detta Tempa del Prete, nei pressi di Paestum. Tempa, parola locale che non significa solo mezza collina, ma che richiama un terreno sufficientemente articolato ed impervio da farti dire che lì è terminata ogni estrema propaggine delle piccole realtà urbane del Cilento di lingua greca, ed inizia qualcosa d'altro. Un luogo di confine. Dov'è giusto che siano i morti: non così vicini, da impicciarsi degli affari dei vivi, non così lontani da non potere essere rcordati, onorati, e magari potere partecipare almeno con l'incoraggiamento e il ricordo delle loro imprese alla difesa dai nemici esterni. Tempe piene di sole, torride d'estate, immerse nel canto delle cicale che impazzite si sfiniscono, e tenebrose d'inverno, con fiumi d'acqua che le percorrono e le scavano in profondi solchi. Terre percorse da etruschi, greci, lucani. Contese. Terre di mezzo.


La tomba del tuffatore è una tomba a cassa, che sulle quattro pareti verticali porta degli affreschi rappresentanti scene di convivio. Sui triclini, adagiati su morbidi cuscini, uomini che si amano, eraste ed eromene, che bevono fino all'ubriachezza, la testa ciondolante all'indietro, che suonano la lira o i flauti doppi, o che giocano a kottabos. Tutto ciò che si può desiderare dalla vita bella, dagli amici, dagli amanti, dal cibo e dal bere. E poi, scene che girano tutt'attorno in un contesto realistico e arredato, i calici appoggiati su tavolini bassi accanto ai triclini, giovani servitori pronti ad attingere da un grosso cratere, un amico atleta che si attarda, al ritorno dall'allenamento, e che ultimo si aggiunge al convivio. Tutto ciò che forse si è avuto, e che si sta per abbandonare. L'ultimo sguardo alla vita che è stata, non come rimpianto, ma come volersene riempire gli occhi, per sempre. Per poterla salutare fino in fondo.


Ma è la lastra di copertura che ti sorprende, e che segna una cesura rispetto a quell'altra narrazione. Essa reca l'affresco che ritrae un giovane che si tuffa nell'ondulato mare, in una cornice di foglie d'acanto. Dietro di lui, un podio, quasi un trampolino, alto, in cima al quale forse è stato difficile arrivare. Forse le colonne d'Ercole, limite di tutto ciò che si sa. Tutt'attorno un'atmosfera rarefatta, stilizzata, sottolineata da fiabeschi alberi immobili nella luce abbagliante. E poi il tuffatore, nudo, con un'espressione serena, che testa in avanti compie il salto.
L'ultimo tuffo, con fiducia, nelll'ignoto. Di là dello specchio d'acqua, al di sotto del quale non si può vedere, nessuno sa cosa ci sia.


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