10 dicembre 2010

Davvero l'università spreca i soldi?

Di recente, il dibattito politico relativo alla riforma dell'Università è sembrato concentrarsi attorno agli sprechi che si perpetrano nell'Università italiana. Tali sprechi (e gli altri problemi, quali il nepotismo, la scarsa produttività, la mancanza di eccellenze, l'autoreferenzialità e l'impermeabilità dell'ambiente universitario) avrebbero suscitato la risposta quasi etica da parte del governo, che ha varato, circondata dal consenso popolare, una riforma che si configura come punitiva ai danni di questa sentina di vizi. Agli studenti che protestavano, perchè la riforma, insieme con la manovra economica, si accompagna a pesantissimi tagli al diritto allo studio (dimezzato quasi ovunque il numero delle borse di dottorato, trasformazione delle borse di merito, erogate a fondo perduto, in prestiti di onore da restituire negli anni successivi alla laurea, ridotti gli altri stanziamenti relativi a mense e quant'altro), la Gelmini ha risposto seraficamente che gli studenti che scendevano in piazza non facevano altro che aiutare "i baroni universitari".

Dato che voi lettori probabilmente non lavorate nell'Università, e degli sprechi dell'Università ne avete la stessa rappresentazione giornalistica che ne ha la Gelmini (che l'università le conosce solo perchè ci si è laureata, e non troppo bene), ho voluto raccogliere qualche dato per cercare di capire se davvero la ricerca italiana fa così cagare, come sicuramente credete. Alla fine conteremo i gol a mio favore, che voglio difendere l'Università italiana, e quelli a favore del terzetto Gelmini-Tremonti-Brunetta, che la vogliono affossare (a tutto vantaggio di postacci quali il CEPU).
Cominciamo. La prima tabella che vi mostro (la trovate qui, al sito ufficiale di Eurostat), è quella relativa alla spesa in ricerca scientifica, rapportata al PIL, per l'anno 2006, e che contempla la somma di investimenti pubblici e privati.

L'Unione Europea considera molto virtuosa una spesa pari almeno al 3% del PIL (linea orizzontale rossa), e la tabella riporta come molto virtuosi solo tre paesi al mondo: Giappone, Finlandia e Svezia. Seguono gli altri paesi del primo mondo. Tra i quali noi non ci siamo, dato che siamo superati anche da Estonia, Spagna, Lussemburgo, Slovenia, Repubblica Ceca. Dunque, per la ricerca e lo sviluppo, in Italia, e già prima della cura Gelmini-Tremonti-Brunetta, si spende meno che altrove. Evidentemente il governo italiano e le compagnie private italiane trovano più appropriato spendere in altro modo i soldi: in ogni caso, non mi pare si possa dire che la ricerca in Italia rubi i soldi ad altri tipi di impieghi. Detto diversamente, se in Italia c'è gente che pensa che i soldi spesi in ricerca e sviluppo siano soldi buttati nel cesso, non c'è però alcun appiglio per dire che in Italia se ne sprechino percentualmente più che altrove.
Dunque, 1 a 0 per me. Continuiamo, ma prima scarichiamo qui l'annuario statistico di Eurostat relativo a ricerca e sviluppo nell'Unione Europea nel 2010. La lettura della tabella della figura sopra potrebbe far pensare che in Italia si fanno soprattutto scarpe e pizze, per cui le aziende necessitano di moderati investimenti in ricerca e sviluppo: questo spiegherebbe perché la  percentuale totale di investimenti in ricerca e sviluppo rispetto al PIL è bassa in Italia. Seguendo questo argomento, Gelmini-Tremonti-Brunetta potrebbero dunque dire che è inutile che lo Stato investa di più, in Italia, in termini di reicerca e sviluppo, perchè già investe tanto, e non può certo supplire alla mancanza di iniziativa dei privati italiani. Beh, avete appena scaricato l'annuario, e ve avete consultato la Figura 1.2, scoprendo che nel 2008 in Italia lo Stato ha investito lo 0.63% del PIL in ricerca e sviluppo. Tanto? Troppo? Senz'altro troppo per Gelmini-Tremonti-Brunetta: la media dell'Unione Europea a 27 paesi fa lo 0.72%. La Spagna investe 1.07%, il Portogallo 1.02%. Negli ultraliberali Stati Uniti lo Stato spende lo 0.99% (altro che le Università private!). Fanno meglio di noi tutti i nostri diretti concorrenti (Germania, Francia, Regno Unito, Spagna), ma anche concorrenti meno diretti (Corea del Sud, Giappone, USA, Norvegia eccetera eccetera).
Comunque la giriate, continuiamo a fare schifino: 2 a 0 per me. Un argomento della Gelmini e di Tremonti è che in Italia le risotrse devono essere dirottate dalle Università di merda verso le vere eccellenze. Eccellenze, ovviamente, settentrionali. La Figura 2.9 del citato annuario statistico riporta le prime 30 regioni dell'Unione Europea, per spesa percentuale in ricerca e sviluppo. Delle prime 7, 3 sono svedesi, 3 tedesche, e una finlandese. Segue l'ottava, francese. Eccetera. Nessuna italiana tra le prime 30. Evidentemente, la struttura di ricerca e sviluppo in Italia è diffusa, a bassa intensità. Al punto da mettere in discussione l'argomento per il quale si dovrebbero fare crepare i meno meritevoli (in specie meridionali) a favore di altre realtà a più alta intensità di ricerca e sviluppo: individuatemi prima chi sarebbero questi primi della classe, in Italia!
3 a 0 per me. Andiamo avanti. E' noto l'argomento per il quale in Italia troppa gente campa sulle spalle degli altri, specie nel settore della ricerca. Se sono così tanti, è ovvio che non fanno un cazzo. Vediamo. In Italia sono impiegati, tra pubblico e privato, l'1.33 % dei lavoratori nei settori di ricerca e sviluppo, sia pubblici che privati (Figura 3.1). La media europea fa 1.54%, con punte allucinanti del 3.68% come in Islanda. Se si contano solo i ricercatori del settore privato, in Italia fanno lo 0.46% dei lavoratori totali (Figura 3.2), mentre la media europea è 0.64%, con punte del 2.15 % (Lussemburgo). Diciamo che in Italia, lo 0.87% delle persone campa di ricerca e sviluppo nel settore pubblico, e quindi per definizione sono parassiti sulle spalle degli italiani onesti: la media europea è dello 0.9%, cioè più parassiti!
4 a 0 per me. Vabbè, si spende poco in Italia, in ricerca e sviluppo. Ma con ragione, tanto i ricercatori e i professori italiani non fanno un cazzo. Tanto non li legge nessuno. Leggiamo qui, da un articolo di Nature, l'impatto che ha la pubblicazione degli articoli scientifici pubblicati, per Nazione. Gli italiani si classificano settimi al mondo, in termini di numero di numero di pubblicazioni totali, tra il 1997 e il 2001. Ugualmente si classificano settimi, per il numero di citazioni che ricevono i loro articoli. Dunque, ottengono piazzamenti molto migliori di quello che ci si sarebbe potuti aspettare se si fossero considerati solo i denari investiti.
Fanno già 5 a 0 per me. Volete arraparvi ancora di più? Il numero di pubblicazioni dei ricercatori, e il loro costo, rappresenta l'unica vera misura di efficienza di un sistema di ricerca. Allora consultate il sito dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico. Nel 2007, gli Stati Uniti hanno speso 376.9 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, e l'Italia 19.6. Gli Stati Uniti, nello stesso anno, sono riusciti a piazzare 323026 pubblicazioni scientifiche, mentre l'Italia ne ha piazzate 53983. Beh, se fate il calcolo, trovate che per fare una pubblicazione, negli Stati Uniti occorre 1.17 milioni di dollari di investimento, mentre in Italia bastano 363 mila euro: i ricercatori italiani ottengono tre volte di più, a parità di costo!
6 a 0 per me. Si, vabbè, direte: magari il ricercatore quello che di buono fa, lo fa spendendo poco. Ma abbiamo comunque deciso che il ricercatore italiano medio non fa un cazzo, perchè siamo prevenuti e si sa che la ricerca è piena di parassiti di sinistra. Beh, nel 2007 in Italia i ricercatori hanno prodotto sulle riviste internazionali una media di 0.66 pubblicazioni a testa. Poco? Al mondo solo gli svizzeri hanno pubblicato di più, con 0.88 pubblicazioni a testa. Gli Usa sono distanti, con 0.24 pubblicazioni a testa (un terzo delle pubblicazioni del ricercatore italiano medio....): in termini di pubblicazioni, un ricercatore italiano ha un'efficienza economica pari a 9 volte quella di un ricercatore statunitense.
7 a 0 per me: cappotto!

In conclusione. Fermatevi, per carità di Dio, fermatevi. Non vi rendete conto di quello che state facendo a noi, e quello che fate al futuro del nostro paese, con le vostre riforme del cazzo. Fermatevi, finchè siete in tempo. fermatevi, prima di trasformarci in un paese del terzo mondo. Sì, siamo universitari, siamo spocchiosi, siamo odiosi, superbi, orgogliosi. Non siamo simpatici. Ma lavoriamo sodo, e non vi abbiamo fatto niente: tranne ricordarvi ogni giorno quanto siate delle merde, fin dai tempi delle vostre prime bocciature. Ma non potete affossare un paese intero solo perchè vi disistimiamo, ricambiati.
Fermatevi, finchè siete in tempo.

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