04 dicembre 2010

Non è il '68


Nei giorni scorsi un'ondata di manifestazioni studentesche ha percorso l'Italia. Di proteste così non se ne vedevano da tempo: lanci di uova contro l'ingresso della Camera dei Deputati, tentativi di rovesciare camionette della polizia nel pieno centro di Roma, occupazioni di facoltà e rettorati, occupazione di monumenti, occupazioni di stazioni e blocchi di importanti collegamenti stradali, financo occupazioni simboliche di luoghi-simbolo all'estero, quale la Tour Eiffel a Parigi, e infine veglie sui tetti.  Erano giovani medi e universitari, spesso in compagnia di ricercatori e docenti, che protestavano contro la riforma universitaria, così come è stata licenziata dalla Camera.
Di quanto faccia schifo questa riforma, di quanto sia semplicemente punitiva per il mondo dell'università, che è un pianeta materialmente e intellettualmente alieno dal presente governo, è cosa di cui discuterò presto, e puntualmente. Adesso mi premeva fare una semplice riflessione su quanto stanno facendo questi ragazzi.

In primo luogo, un'osservazione. Questi ragazzi sono stati chiamati bamboccioni per diversi anni. Giovani che rimangono a casa fino a tarda età, che non acquistano l'indipendenza, che non prendono le proprie responsabilità: ricordo bene che l'inventore di questa espressione fu Mario Monti. Scelta infelicissima, quella delle sue parole, perchè etichettò un'intera generazione, accusandola di pigrizia, o di mammismo. Trascurando, però, che questi bamboccioni hanno visto in pochi anni lo scoppio della bolla della new economy, un'inflazione reale spaventosa, causata dalla malaccorta conversione della lira nell'euro, il crollo delle due torri, una guerra ormai decennale in Afghanistan, un bagno di sangue in Iraq, gli attentati a Madrid e a Londra, la Russia fare passi indietro, trasformandosi in uno stato-mafia, il galoppare furioso della Cina e dell'India, lo scoppio della bolla immobiliare, un crollo mondiale delle borse, il fallimento delle banche e delle assicurazioni, la peggiore recessione mondiale dopo quella del 1929, manovre sanguinose per risanare i conti di diversi paesi europei. Questi bamboccioni hanno visto i sessantenni e i settantennti occupare saldamente ogni posizione di responsabilità e di potere: gli stessi personaggi che in nome della rivoluzione buttavano le molotov ed erano iscritti a Lotta Continua, e che ora pontificano di economia e di libero mercato da posizioni che è poco dire conservatrici. Non c'è che dire: nonostante quello che ne pensa Mario Monti, non si tratta di bamboccioni, ma di una generazione che verrà ricordata per essere stata la prima, dai tempi della Morte Nera, nel '300, a godere di minori prospettive di sviluppo di quelle precedenti.

In Italia, il posizionamento di ognuno all'interno della società era sempre stato regolato, più che da merito e iniziativa personale, dall'appartenenza a opportune consorterie e da liturgie legate ad anzianità. Un tempo aspettavi il tuo turno nella fila, e se pazientavi abbastanza, prima o poi la tua occasione sarebbe arrivata. Ciò era stato permesso dall'allargamento dello stato sociale a debito (quindi pesando sulle generazioni successive), e da prospettive economiche mondiali sostanzialmente in crescita. A ciò si accompagnava una ideologia diffusa ma non esplicita, propagata da televisioni e giornali, di giovanilismo paternalista: che sembra un ossimoro, ma esprimeva il fatto che i giovani dovessero semplicemente consumare e divertirsi, in compagnia di adulti atteggiati a giovani, e che poco si dovessero occupare delle resonsabilità. I giovani come consumatori e non come molla di novità e lievito della società, sostanzialmente inattivati e tenuti a bada, affinchè non sgomitassero, nelle aziene come nella politica.
Oggi, sono venuti al pettine alcuni nodi: la crescita ulteriore è inibita dalla concorrenza delle economie emergenti, la cui demografia è a dir poco esplosiva, e lo stato sociale, gli anziani, i malati, sono diventati troppo numerosi rispetto alla capacità di sostenerli da parte dei giovani che lavorano effettivamente, troppo poco numerosi in Italia, oggi. I giovani non lavorano, o non lavorano abbastanza, o non sono pagati a sufficienza. Lo stato sociale dovrà essere ridotto, e già si sa che i giovni di oggi godranno di pensioni da fame nel futuro. L'acquisto della casa verrà rimandato, come spesso il matrimonio, o la formazione di una famiglia con figli. Come dicevo, si tratta di una generazione che gode di minori prospettive di sviluppo rispetto a quelle delle generazioni precedenti. Non è un paese per giovani.

La seconda osservazione è che, appunto nati e allevati in una cultura essenzialmente televisiva, dove l'uomo nuovo è disceso di un gradino lungo la scala dello sviluppo umano, regredendo dal rango di cittadino a quello di utente, di telespettatore, di consumatore, avvcinandosi di nuovo al punto che separava l'essere umano dalla scimmie, questi giovani non hanno idea di cosa cambiare. Hanno sostanzialmente già tutto. Tutto ciò che serve per riempire la pancia, per coprire il corpo, per fare sesso. Sono saturi, non immaginano nuovi diritti. Non sarebbero caspaci di fare il '68, perchè non saprebbero cosa combattere della vecchia società, visto che ne hanno assimilato in profondità i vizi e i vezzi. Sono uguali ai padri. Anzi, i padri sono più piratescamente simpatici.

Così, da quel che ho scritto, rileggendomi mi appare finalmente chiaro il significato delle proteste recenti. Questi studenti non stano facendo alcuna scelta "progressiva". Non fanno il '68, non tentano in alcun modo di cambiare le cose. Ciò che li ha spaventti, che ha inculcato in loro una paura quasi animale, di quella che te ne accorgi dall'odore, è il pensiero che il loro mondo materiale, fatto di cose, di abitudini consolidate, di comodità, di sicurezze sociali ed economiche, si sta erodendo. Sono come quegli orsi bianchi bloccati su una zattera di ghiaccio alla deriva per colpa del riscaldamento globale, e che lentamente si consuma. Si accontenterebbero di non godere di minori diritti e opportunità di coloro che li hanno preceduti, ma vedono che nessuna posizione riesce ad essere mantanuta: una volta, è un colpo alle pensioni future, un'altra è un colpo alle borse di studio universitarie o un aumento delle tasse, un'altra ancora è l'aumento della disoccupazione giovanile.

Per questo, mi pare di potere prevedere, stanti le cose, un aumento della turbolenza. Se ne sono viste delle avvisaglie, in altri paesi, come per esempio l'occupazione della sede del Partito Conservatore inglese, dopo la decisione di triplicare le tasse di accesso all'università. Le turbolenze certamente aumenteranno. Ed in Italia saranno ancora più forti, dato che l'ideologia berlusconiana sta tramontando, non con un lento degradarsi per essere sostituita da qualcos'altro, ma con un tonfo che precipiterà molti sotto le macerie, morali, materiali e, credo, giudiziarie. Sono convinto, anzi auspico, che i giovani, come un branco di cani che è affamato, dopo che per anni era stato trattato artificialmente bene, morderà la mano di chi li aveva allevati.

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