18 novembre 2011

Una passeggiata serale

L'autobus fa all'ultimo momento una deviazione ripetto alla mia meta e mi depone nella piazza della vecchia pretura. Non ci passo da tempo, e mi guardo attorno, appena sceso dal predellino del mezzo. Siamo alle solite: come se fossero fogli trasparenti, mi si sovrappongono alla scena attuale ricordi di tanto tempo fa, e rivedo con gli occhi della mente me ragazzino, con i miei compagni di scuola, molte giornate di sole, e tra queste qualcuna uggiosa, e immagini del vecchio stazionamento delle autolinee provinciali,  quelle cafoniere blu dove i vecchi si mettevano a parlare con noi, i femminielli ci facevano una corte discreta, e noi scrivevamo a penna il nome della nostra amata sui sedili in finta pelle.  Poi ancora nella piazza buia immagini della trattoria, che ora non c'è più, dove nelle sere invernali  in un pentolone ribolliva il polpo col pepe, e questo brodo i lavoratori notturni lo sorbivano sotto la luce delle alogene, per scaldarsi. Mi incammino, a piedi, verso la piazza della stazione centrale, e mi imbatto in quello stesso vicolo dove andavamo subito dopo scuola: c'era un laboratorio di pasticceria, e con 1000 lire potevamo comprare una pizzetta, ed il diritto di guardare il vecchio pasticciere farcire e arrotolare i cornetti, mentre chiacchierava con noi e ci prendeva  a male parloe. Nanche questo laboratorio di pasticceria esiste più, ma accanto alla saracinesca abbassata ci sta ancora una vecchia edicola sacra, con una pala dipinta rappresentante Sant'Antonio, dipinto con tratto fresco e devoto. La osservo, come si osseravno le rughe di un vecchio amico, ma mi viene il magone a vedere soffocato quel legno venerando tra auto parcheggiate e sale bingo, e vado via.

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Faccio pochi passi e incontro un uomo, lo sguardo miope nei suoi occhi da criceto, nascosti dietro occhiali troppo spessi. E' sorprendente come certi uomini possano guardarti con aria rapace, come se tu fossi una cosa. Questo si capisce subito che vorrebbe scoparmi, da come mi punta col viso di fiera dal momento in cui mi vede per la prima volta fino al momento in cui lo supero a passo svelto cercando lo sbocco nella piazza della stazione centrale. Credo che se cascassi per terra all'improvviso, colto da un malore, lui mi slaccerebbe i pantaloni. Spesso le donne mi hanno detto che il mio sguardo è come un abbraccio, e che nel mio sguardo si sono sentite raccolte: ma erano donne che inclinavano verso me, e che in qualche modo non possono essere considerate attendibili. Forse poetavano alla loro maniera, dicendomelo. Mi chiedo, invece, cosa pensino del mio sguardo le donne che incrocio casualmente in metropolitana, o cui cedo il passo sul marciapiede. Io non vorrei mai guardare nessuno come a volte mi guardano certi uomini.

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Questo è lo stesso marciapiede che di notte percorrevano Ermanno Rea ed Enzo Striano, prima di scoprirsi entrambi scrittori. Facevano questo marciapiede e parlavano tutta la notte, accompagnandosi alternatamente l'uno a casa dell'altro, e viceversa. Da una piazza grande all'altra, lungo il corso. Io non ho un amico cui parlare tutta la notte. Non ho un amico con cui  consumare la stada aiparlare di ciò che non va, non ho un amico col quale passeggiare senza meta, buttando via la notte e ricevendo in cambio ricccheza. Arrivo finalmente nella piazza della stazione, e quattro prostitute aspettano accanto ad un'edicola. Una mi chiama "bello", io mi giro, poi vado per i fatti miei. Sento risate dietro di me.

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Sono sul terrapieno ferroviario, accanto alla collina della grotta. Mi allontano dalla banchina, lungo i binari, per vedere meglio. Di fronte, nel piccolo parco ci sono tenere lampade la cui luce viene a tratti oscurata dalle piante mosse dal vento: il parco è vivo ma dorme, e quel vento lieve è il suo russare. Il buio lo protegge, e io guardo meglio: questa è la sua ultima magia. Stasera il gatto non c'è, vedi? e siamo solo in due, io e la costellazione d'Orione, a salutarti, Virgilio.

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