La prima volta che lo trovarono, all'inizio del suo autunno, la nazione era ancora abbastanza viva da fare in modo che lui si sentisse minacciato di morte perfino nella solitudine della sua stanza da letto, e tuttavia governava come se si sapesse predestinato a non morire giammai, giacché quella non sembrava allora una casa presidenziale bensì un mercato dove bisognava farsi strada tra attendenti scalzi che scaricavano asini di ortaggi e ceste di galline nei porticati, scavalcando comari con figliocci famelici che dormivano appallottolate sulle scale per aspettare il miracolo della carità ufficiale, dove bisognava eludere i rovesci di acqua sporca delle concubine linguacciute che cambiavano con fiori nuovi i fiori notturni dei vasi e che preparavano il pavimento e che cantavano canzoni di amori illusori al ritmo dei rami secchi coi quali arieggiavano i tappeti sui balconi, e tutto ciò tra lo scandalo dei funzionari vitalizi che trovavano galline in cova nei tiretti delle scrivanie, e traffici di puttane e di soldati nelle latrine, e scompiglio di uccelli, e lotte di cani stradaioli nel bel mezzo delle udienze, perché nessuno conosceva nessuno né da parte di nessuno in quel palazzo dalle porte aperte nel cui disordine inaudito era impossibile stabilire dove era il governo.
Gabriel Garcìa Marquez, L'autunno del patriarca
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